Kate Winslet-Lee

Intervista di Elisa Leonelli

Kate Winslet è stata candidata dai giornalisti internazionali votanti per i Golden Globes fra le migliori attrici protagoniste per la sua interpretazione della fotografa Lee Miller nel film Lee da lei prodotto, prima regia di Ellen Kuras, con Andy Samberg, Josh O’Connor, Andrea Riseborough, Alexander Skarsgård, Marion Cotillard.

Quali difficoltà ha dovuto superare nel trovare finanziamenti per produrre questo film indipendente?
Credo fermamente che se trovi qualcosa nella vita di cui sei appassionato devi continuare a perseguirla, ma è stata una lotta e una sfida ottenere investimenti per pagare varie stesure della sceneggiatura, perché c’è voluto un po’ di tempo per vagliare la vasta biografia di Lee Miller e distillarla nel decennio più importante della sua carriera, del quale era molto fiera, ma di cui nessuno conosceva i particolari. Era frustrante sentire che tanti potenziali investitori maschi non erano in grado di simpatizzare con Lee, perché aveva problemi di alcolismo, depressione e PTSD (disturbo post traumatico da stress). Eppure era una persona che aveva compiuto gesta straordinarie per rivelare la verità, presentare testimonianza delle atrocità del regime nazista, quando fotografò montagne di cadaveri nel campo di concentramento di Dachau. Per me è stato un grande privilegio raccontare la storia di Lee, senza sessualizzarla con uno sguardo maschilista, come era avvenuto quando aveva fra i venti e i trent’anni, ma presentare una donna di mezza età con molti difetti che è andata in guerra a documentarla per le lettrici femminili di Vogue.

Si identifica con il coraggio e lo spirito di indipendenza di Lee Miller?
Le azioni di Lee ci ispirano e ci ricordano quanto sia importante fare qualcosa con la nostra vita, come ha fatto lei, senza prendere in considerazione i rischi. Dopo la fine della guerra era tornata a Londra, ma poi è andata di nuovo a Vienna e in Ungheria per fotografare le conseguenze. Posso senz’altro identificarmi con la sua forza e la sua determinazione. Lee era una donna che, già 80 anni fa, ridefiniva la femminilità come resistenza e potere, compassione, solidarietà e integrità.

Che rapporto ha instaurato con Antony Penrose, il figlio di Lee Miller, che nel 1985 ha scritto la biografia della madre, The Lives of Lee Miller, dopo la sua morte nel 1977?
Antony, che è ancora vivo e ha 77 anni, è stato per me una parte estremamente importante del processo creativo, che è durato 9 anni, e infatti mi ha motivato a fare questo film proprio per lui, perché aveva bisogno di una chiusura emotiva. Mi ha dato completo accesso agli archivi di sua madre, tutto il suo lavoro di fotografa, lettere e diari personali, i suoi vestiti e le macchine fotografiche. E questo mi ha aiutato a capire il mondo interiore di questa donna, che era a volte molto fratturato, dopo la quantità di sofferenze che aveva visto durante la guerra. Antony scoprì chi era veramente sua madre solo dopo la sua morte, quando la moglie suggerì di andare a rovistare fra quelle scatole che erano nella soffitta per cercare delle foto del marito da bambino e vedere se assomigliava alla loro bimba Ami appena nata. Fu allora che trovarono 60,000 negativi, stampe e manoscritti, e il figlio si rese conto  di cosa aveva fatto sua madre durante la seconda guerra mondiale, un’esperienza della quale non gliene aveva mai parlato. Senza questo lavoro di preservazione delle opere di Lee Miller non sarei mai riuscita a fare il film.

Kate Winslet as Lee Miller

Quali riflessioni possiamo trarre da questo film che ci aiutino a capire le atrocità delle guerre di oggi?
Lee si rifiutava di censurare la verità, aveva il coraggio viscerale di testimoniarla con la sua Rolleiflex, che teneva davanti al cuore e le consentiva di guardare in faccia le persone che stava fotografando. La sua vita ci fa riflettere sul coraggio straordinario e sull’incredibile importanza dei fotoreporter di guerra, del lavoro che fanno, della loro abilità di continuare a rivelare al resto del mondo la verità che altrimenti rimarrebbe nascosta, e spesso volutamente tenuta segreta. E questo tipo di lavoro è decisamente educativo e oggi più importante che mai.

Non considera il suo lavoro di attrice altrettanto importante?
Sarebbe impossibile paragonare il lavoro degli attori e delle attrici con quello di persone che si espongono a veri traumi nel loro lavoro, sia che si tratti di un fotografo al fronte, di un medico del COVID, di un neurochirurgo, di un cardiologo pediatrico, gente che tiene letteralmente fra le mani la vita altrui. Mi inchino di fronte a loro, per questo era importante per me accettare la sfida di fare questo film, sentire che mi immedesimavo nella vita di Lee e provavo quelle che lei aveva provato. Ci tenevo che Lee Miller non fosse semplicemente descritta come fotomodella da copertina, amante e musa del fotografo surrealista Man Ray. Dobbiamo cambiare il modo in cui giudichiamo le donne e le definiamo solo in relazione ai loro compagni, modificare la cultura per dare loro il rispetto che si meritano.

Lee è uscito nei cinema USA il 27 settembre, su Sky Cinema UK il 1 novembre.

Pubblicato su Voilà Facebook, 20 dicembre, 2024

 

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