Luca Guadagnino

Intervista di Elisa Leonelli
21 novembre 2017

Luca  Guadagnino, nato a Palermo il 10 agosto 1971, da padre siciliano e madre algerina, si è laureato all’università Sapienza di Roma con una tesi sul regista americano Jonathan Demme, ha iniziato la carriera come critico cinematografico.  Ha debuttato alla regia con The Protagonists (1999), presentato al festival del cinema di Venezia, ha trovato il riconoscimento internazionale con Io sono l’amore (2009) con Tilda Swinton, presentato a Sundance, Berlino e Venezia e nominato ai Golden Globe come film straniero. Ha diretto A Bigger Splash (2015) con Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Matthias Schoenaerts e Dakota Johnson. Quest’anno il suo film Call Me by Your Name, sceneggiatura di James Ivory dal romanzo di André Aciman, con Timothée Chalamet e Armie Hammer, ha ricevuto ottime critiche a Sundance, Berlino e Toronto, apre nei cinema USA il 23 novembre. Il suo prossimo film Suspiria, con Tilda Swinton e Dakota Johnson, è un remake del film di Dario Argento del 1977. Lo abbiamo incontrato a  Los Angeles.

Luca Guadagnino (c) HFPA 2017

Questo nuovo film, Call Me By Your Name, come si collega con gli altri due film che hai fatto in precedenza, Io sono l’amore e A Bigger Splash?
È stata una razionalizzazione del mio lavoro fatta a posteriori.  Quando ho finito Call Me By Your Name e sono stato invitato a scrivere dei pensieri per il festival di Sundance, ho incominciato a cercare di capire cosa dire e mi sono reso conto che sia Io sono l’amore che A Bigger Splash che questo film parlavano tutti e tre di personaggi che erano motivati principalmente dal desiderio. E quindi mi è piaciuto pensarla, senza averla mai pensata, ma retrospettivamente, come una trilogia del desiderio. Perché in realtà in Io sono l’amore c’è il desiderio che produce un senso di libertà interiore, ma in qualche modo per potersi realizzare distrugge tutto quello che era stato costruito fino ad allora.  In A Bigger Splash c’è il desiderio di ricatturare un amore perduto, e questa forza che cerca di riportare indietro qualcosa che è impossibile ritrovare produce una frattura letale. Mentre in questo film mi sono reso conto che invece il desiderio di Elio per Oliver e quello di Oliver per Elio è una cosa mutua che produce un movimento di cambiamento positivo, dove l’effetto del desiderio è benigno.  E quindi mi piaceva pensare che, se i primi due film avevano un approccio sul desiderio dal punto di vista della distruzione, del cambiamento radicale e persino terminale, questo film fosse più un idillio, e l’approccio era più poetico.

Timothée Chalamet, Armie Hammer-Call Me By Your Name

La cosa che mi ha fatto più impressione nel tuo film Call Me By Your Name è questo stile di vita che tu descrivi cosi bene, e che io conosco perché sono italiana di Modena e quindi facevo anch’io queste cose d’estate. Andare in bicicletta in paese, mangiare all’aperto intorno a un tavolo con tanta gente con cui si chiacchiera per ore, ascoltare musica classica, fare il bagno nel fiume, giocare a tennis.  In che senso è un modo di vita diverso da come si vive in America?
Potrei dire che si tratta di una vita campestre in cui ci si abbandona alla noia dell’estate, dove la misura delle cose non è l’eccesso di cose da fare ma la mancanza di cose da fare, e quindi la capacità di abbandonarsi all’ambiente, al paesaggio e ai propri sentimenti.  Però credo che questo possa valere tanto in Italia, con le sue specificità, con le sue cascine, con suoi torrenti, con i suoi canali, quanto per la campagna americana. Immagino, non lo so.
Ho letto in un articolo sul New York Times che abiti a Crema in una villa del Seicento.
Non è una villa, è un grande appartamento dentro un palazzo. Ma guarda che è un appartamento che costa pochissimo.  Voglio dire se quella fosse la dimensione della mia vita a Beverly Hills o a Manhattan, allora sarebbe stravagante, ma a Crema dove vivo è una roba molto modesta.
Te lo chiedevo perché Call Me By Your Name è ambientato in una villa del seicento vicino a Crema.
Quella villa del film è Villa Albergoni, una fortezza del seicento che nell’arco di 150 anni è stata trasformata in una villa di campagna.  La avevo visitata anni prima, perché in forma di megalomania pensavo di comprarla, ma poi ovviamente non avendo i soldi non ho potuto comprarla. Però mi era rimasta dentro, e quando sono diventato il regista di questo film, ho pensato che quella casa era dove io avrei voluto vedere questa storia. Quindi abbiamo chiamato la proprietaria se ce l’affittava per il film e lei ha detto di sì.
Dato che sei un cinefilo, a quali film e registi ti sei ispirato per Call Me by Your Name?
Per questo film il tipo di memorie cinefile che mi son tornate alla mente, mentre cercavo di concepire il modo in cui farlo, ho pensato a questi film di idillio, alla Partie de Campagne (1936) di Jean Renoir, che dura 30 minuti, questo gruppo di persone sulle sponde di un fiume. A Bernardo Bertolucci (nato a Parma), tutta la Pianura Padana che si vede nei suoi film (La Luna, Novecento, Prima della rivoluzione, Tragedia di un uomo ridicolo, Strategia del ragno), alla campagna di André Techiné (Les roseaux sauvages, 1994), ai film di Maurice Pialat (Á nos amours, 1983), di Éric Rohmer (Pauline á la plage, 1983, Le Rayon vert, 1986), di Jacques Rivette. Queste sono le memorie che mi hanno aiutato a comporre il film.
Quali sono gli altri tuo idoli cinematografici?
Ne ho parecchi. Pasolini è un grande regista, e anche Alfred Hitchcock. Diciamo che sono un grande Hitchcockiano. Ma io sono onnivoro, amo molto il cinema in generale. So anche cosa non mi piace, però quello che mi piace, mi piace parecchio.
Per quali motivi hai scelto questi due attori, Timothée Chamalet e Armie Hammer?
Ma perché sono fantastici. Timothée è un grandissimo giovane attore, l’ho incontrato anni fa, quando era ancora più piccolo di adesso, e immediatamente ho capito che era Elio. Armie è un grande attore da sempre, da quando ha incominciato a fare cinema. Mi ricordo che nel film di David Fincher The Social Network (2010) era pazzesco, e anche in The Lone Ranger (2013 di Gore Verbinski). Io li amo molto questi attori.
Cosa ne pensi del fatto che, mentre il matrimonio gay è legale in Spagna dal 2005, e in tutti gli altri paesi d’Europa, per ultima la Germania nel 2017, in Italia non è permesso?
L’altro ieri in Australia il matrimonio omosessuale è passato col 61% dei voti, e l’Australia è un paese potenzialmente retrogrado.  Quindi penso che alla fine l’inevitabilità del progresso civile costringerà l’Italia a confrontarsi con questo, prima o poi succederà quello che è successo al resto del mondo.
Non credi che questo sia dovuto al potere della Chiesa Cattolica in Italia?
Non credo che sia una questione della chiesa cattolica. In Irlanda la chiesa cattolica è così potente, eppure il matrimonio gay esiste ormai da diversi anni (2015).  Il problema dell’Italia è la vigliaccheria della politica, il doppio standard morale di pubbliche virtù e vizi privati.  Qui in America invece si sta parlando della vita delle persone e della loro posizione come cittadini, cosa che in Italia viene un po’ negletta. Però sarebbe una buona battaglia civile da condurre e sarà inevitabile arrivare a quello.

Pubblicato sul sito Golden Globes: Luca Guadagnino alla conquista di Hollywood

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